domenica 22 novembre 2009

Recensione Zombieland di Ruben Fleischer (USA 2009)

ZOMBIELAND di Ruben Fleischer

Sceneggiatura: Rhett Reese, Paul Wernick
Anno: 2009
Nazionalità: USA
Interpreti principali: Jesse Eisenberg, Woody Harrelson, Emma Stone, Abigail Preslin, Amber Heard, Bill Murray

Disponibilità italiana: Sì, dvd edito da Sony Pictures
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Trama: Il mondo sta per giungere al capolinea, i pochi umani rimasti in vita continuano la loro estenuante e dal probabile esito negativo lotta con i morti viventi, i quali hanno invaso ogni singolo angolo della Terra sfrattando e decimando con violenza la razza umana. Nel marasma generale un ragazzo, già pessimista di per sè per le condizioni in cui riversava il pianeta, decide di mettersi in viaggio partendo dal suo dormitorio per sapere quale sorte abbia riservato l'attuale catastrofe alla sua famiglia.

"Alla ricerca del Twinkie perduto"

Qualcosa sta decisamente cambiando e in meglio. Se inizialmente le commedie horror erano nate con l'umile intento di suscitare una breve ed effimera risata scacciapensieri rifiutando categoricamente allo stesso tempo l'impresa di toccare temi appartenenti alla sensibilità pubblica, di recente questa direzione stilistica si sta evolvendo pronta a raggiungere la sua piena realizzazione cinematografica. A dire il vero, quest'annata, sebbene avara di capolavori imperdibili (non nominate invano Trick 'r treat e vattelapesca vari oppure saranno guai), lascia comunque intravedere degli sviluppi rassicuranti per il futuro e, inaspettatamente, ad assumere la guida di questa trasformazione è proprio la categoria apparentemente più faceta del genere. Esempi di questa maturazione li stiamo già avendo a cominciare dallo splendido concentrato di misoginia che va sotto il nome di Doghouse che, come una bacchettata metaforica, spronava l'uomo a riprendersi lo scettro della sua superiorità nei confronti della donna emancipata anche dalla sua stessa emotività che la contraddistingueva in origine. Questa volta a deliziarci e sorprenderci ci pensa invece lo statunitense Zombieland, protagonista di questa recensione.

Riprendendo la frase di traino di About a boy dei fratelli Weitz: l'uomo con tutte le comodità tecnologiche di cui dispone al giorno d'oggi può permettersi, soprattutto se ereditario di una grossa fortuna e quindi campando di rendita, di diventare un'isola a sè stante chiudendo per sempre le sue finestre sociali semplicemente perchè considerate superflue alla realizzazione del suo paradiso artificiale. Secondo il protagonista, le relazioni sociali qualche secolo fa si rendevano necessarie solo perchè la gente non sapeva come passare il tempo prima dell'avvento dell'attuale agiatezza multimediale. Con una presa di coscienza della realtà in termini involutivi, in quel film si parlava infatti dell'era delle isole: ognuno poteva bastare a sè stesso se riusciva a circondarsi di tutta questa bambagia elettronica.

Questo modo di pensare calza perfettamente anche agli ultimi esemplari umani che popolano la putrescente "landa dei morti viventi", che, nella sfiducia più totale verso il prossimo, si privano perfino della propria identità pur di non scendere a compromessi con i loro simili e si nascondono dietro nomi di località americane, un linguaggio in codice talmente rigido e disumano che nemmeno i militari sarebbero disposti ad accettare. Allo scopo di farci conoscere il tipo di mentalità vigente nei tempi di decadenza ivi rappresentati, la pellicola utilizza dei funzionali flashback, in uno dei quali proprio il personaggio principale, che fa anche da voce narrante, afferma senza risentimento che, in 3 settimane di clausura domestica, non ha mai sentito il bisogno di un contatto umano. Si tratta di un pessimismo congenito che i diversi ruoli si portano dietro come un fardello, ancora prima dell'invasione zombiesca, derivante dal vedere deluse le proprie aspettative in una realtà che non corrisponde mai ai valori tanto promossi dai loro familiari. Sono tutti stati d'animo che vengono portati al parossismo in una situazione degradante in cui sono i cadaveri ambulanti gli unici a dettare la loro mortale legge.



A cosa mai potrà condurre cotanta disperazione universale? La risposta è già presente nella domanda: alla ricerca sfrenata, con notevoli punte di patetismo, di qualsiasi oggetto o luogo che ci riporti alla mente la felicità vera, quella provata durante l'infanzia libera da qualsiasi angolo oscuro. A questo punto fanno il loro ingresso nella vicenda, con una brillante citazione, la versione aggiornata di Proust e la sua madeleine che per l'occasione assumono rispettivamente le ben più note sembianze di uno spaccone yankee e di un tipico dolce americano, ovvero il twinkie. Se per lo scrittore parigino era piuttosto facile trovare il mezzo per affondare nella sua libidine memoriale, stessa cosa non può dirsi per Tallahassee (interpretato da un ispirato Harrelson) che dovrà guadagnarsi con fatica il premio che apre le porte ad un istantaneo mondo di piacere personale.



L'opera di Fleischer è caratterizzata da una nostalgia di fondo che viene celata piuttosto bene anche durante il tanto atteso cameo di una celebrità presente a circa metà del film. Forse già saprete di chi sto parlando, ma non è mia intenzione rovinarvi la sorpresa rivelandovi sfacciatamente la sua identità, sperando che non abbiate già visitato la relativa pagina di IMDB. Veder truccato tale personaggio a mò di zombie, quasi a volerne rappresentare la stella decaduta ma ancora ben viva e luminosa nel ricordo dei suoi estimatori, non può che suscitare tanta tenerezza nel cuore dello spettatore, a dimostrazione del fatto che gli sceneggiatori sono un'inguaribile coppia di romanticoni.

La tristezza insita nella pellicola viene velata anche nel suo titolo, Zombieland, denominazione che porta alla mente esempi di grandi parchi di divertimento con diverse attrazioni. E guarda caso, proprio in un luogo del genere vengono ambientate le spettacolari sequenze improntate alla più pura azione. Decisamente particolare invece la scelta di presentarci le donne come la parte più vile, antipatica e voltagabbana dell'umanità: non proprio le cosiddette damigelle in pericolo speranzose nell'aiuto di qualche generoso cavaliere. Unico difetto che mi preme rimarcare è che a volte si eccede troppo in alcune trovate, indiscutibilmente geniali, ma che al lungo andare possono stancare soprattutto se hanno l'unico scopo di allungare la durata complessiva della visione.



Il regista ha dunque partorito qualcosa di più di una semplice commedia horror, tutt'altro che superficiale e chinata nel gravoso compito di far ridere. Si tratta di un film coraggioso perchè privo di una trama inquadrabile in riconoscibili categorie, che rifiuta di percorrere sentieri già ampiamente percorsi. Invece di lamentarci, dovremmo ringraziare il cielo che l'America, riemergendo dalla persistente pattumiera di remake, sia ancora capace di proporci lungometraggi di tale caratura.

GIUDIZIO FINALE: 7,5

3 commenti:

  1. Non vedo l'ora di dargli un'occhiata XD!
    Ciau Sad!
    Volevo farti sapere che ti leggo spesso e con interesse, continua così!
    Complimenti per il blog, merita davvero (grazie soprattutto alla qualità dei contenuti).
    Alla prossima!

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  2. Recensione molto completa e inaspettatamente "seria". Sono d'accordo con te sulla non banalità del film, ma non credo che l'autorialità sia stata la prima istanza che ha seguito il regista... Il voto combacia per una volta! Ciao!

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  3. Grazie ;) sì, direi che si nota la volontà di voler trovare dei compromessi sul modo di proporre dei contenuti, ma i toni da commedia, a mio parere, rimangono sempre un intelligente stratagemma per allievare la profondità di alcuni temi trattati.

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