venerdì 24 luglio 2009

2X1: Storie di vite "bloccate"

Può sembrare strano ma a volte anche l'ordine con cui guardiamo i film ci può parlare, ci può scavare dentro e portare il riflesso della lista di guai che si stanno attraversando in un periodo ipotetico di vita.
Situazioni in cui ci sentiamo bloccati ed è impossibile stabilire se e quando riusciremo ad uscirne fuori; difficile buttarci i problemi dietro le spalle se ce li ritroviamo sempre davanti. Inoltre non abbiamo il tempo di lamentarci per quello che ci capita che subito ritorna la sveglia e udente scalogna a raddoppiare le dosi e a farci rimpiangere gli istanti precedenti di vita. Nemmeno la nuvoletta dell'impiegato, di fantozziana memoria, ci viene in aiuto a rinfrescarci in queste afose giornate. Cosa potrebbe consolarci e distogliere il pensiero dal nostro deprimente stato se non assistere alle disavventure di chi sta messo peggio di noi, di chi in una mattinata si risveglia e si ritrova senza più un tetto sopra la testa. E' quello che succede al povero Thomas Bardo, interpretato da un divino Stephen Rea, che non riesce a percepire la velocità supersonica a cui la vita lo sta conducendo in discesa: lo schianto sarà inevitabile. In casi come questi ci si rende conto di come la vita sia beffarda e spesso e volentieri si prende gioco di noi, soprattutto se guardiamo alla bizzarria con cui avvengono certi incontri fortuiti.
Stuck è l'incontro fatale di due falliti sull'orlo del precipizio, uguali nel destino ma con una bella differenza che sarà anche il motivo della conclusione: la consapevolezza del proprio stato e quindi la forza di volontà per aggrapparsi ai propri residui di umanità. E non è cosa da tutti fare buon viso a cattivo gioco anche nei casi più estremi.
Stuart Gordon materializza sullo schermo un vero e proprio incubo urbano e porta alla luce gli orrori che si annidano in un contesto così usuale: l'indifferenza e l'efferatezza di chi pensa che la propria vita e la propria carriera siano più importanti del semplice aiuto che si può offrire ad persona prossima alla morte e addirittura la deresponsabilizzazione della parte che ha causato un incidente mortale. Sono temi che mostrano fino a che punto può spingersi la cattiveria umana e che si inventa di sana pianta i criteri per i quali una vita è più valida e un'altra no. Ma si sa, un'ingiustizia non si può mica coprire e tacere allo stesso modo in cui si nasconde un ammasso di polvere sotto un tappetto; prima o poi la catena degli inconvenienti diventerà incontrollabile e ogni nodo verrà al pettine. Non tutti però sono capaci di cogliere al volo le occasioni di redenzione ed finalmente, dopo una sofferenza interminabile, si dà spazio alla giustizia divina che fa capovolgere i ruoli e trasforma i boia in vittime e viceversa. Ma l'umanità non è una qualità in vendita: se ce l'hai bene, se no non fa niente: tanto è già stata stabilita la fine che ognuno di noi si merita. E per coloro che si sentono sfortunati o in tunnel senza luci a far da guida, ricordate: una volta toccato e scavato il fondo si può solo risalire e ricominciare tutto da capo.

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In una circostanza simile, almeno spiritualmente, si ritrova la protagonista di 100 Feet, costretta agli arresti domiciliari per aver ucciso il proprio manesco consorte durante una lite. Il destino, come sempre avverso, vuole che il coniuge non fosse esattamente un tipo qualunque ma un rispettato ufficiale di polizia quindi sempre pronto a trovare una giustificazione per le propire malefatte grazie al prestigio della posizione occupata. Dopo un buon periodo di permanenza dietro le sbarre, la donna viene scortata verso l'abitazione, che fu luogo del misfatto, dove proseguirà la propria condanna.
La penna di Eric Red, autore delle celebri sceneggiature di The Hitcher e Il buio si avvicina, torna a brillare in questa originale storia fatta di clausure, vendette ectoplasmiche, ambienti claustrofobici e incendi purificatori. Questi gli ingredienti principali di una narrazione domestica in cui non ci si sposta dalle quattro mura per svelare i retroscena della vicenda, semmai sono gli eventi che bussano alla porta dell'abitazione della protagonista. Evitando l'uso di flashback, il racconto prosegue su un'unica linea temporale senza alcuna sorta di sviamenti e proprio per questo motivo l'attenzione si attesta sempre su buoni livelli. Non si fa molta leva sulle apparizioni del rancoroso spettro e le sferzate di violenza si concentrano in un'unico e strabiliante omicidio. L'unica falla in questa struttura narrativa è la poco ragionata e troppo sbrigativa soluzione trovata per la sequenza finale che non regge al cospetto dell'intensità emotiva che si prova nelle sequenze precedenti.
Non lo consiglierei a prescindere perchè in questo caso conta molto il fattore verosomiglianza di una storia ma è forse l'unica condizione per godersi appieno la nuova fatica registica di Red.
In definitiva due bei film a sfondo urbano: ineccepibile quello di Gordon, che stravince sulla controparte, apprezzabile invece quello di Red.

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